Unione Europea fondo sociale
Agenzia Coesione Territoriale
Dipartimento Funzione Pubblica
Dipartimento Pari Opportunità
PON
Password dimenticata?  Recuperala

Immaginare le competenze di domani

Di Maria Paola Napoleone

Come prepararsi al lavoro dopo l’emergenza?

Che il lavoro agile ai tempi del COVID-19 sia un lavoro agile “anomalo” e finalizzato esclusivamente al distanziamento sociale lo abbiamo scritto e spiegato in diverse occasioni (si rinvia in questa sede ai contributi di M. Zizza, P. Di Santo e D. Zingarelli). C’è però un merito indiscusso dell’accelerazione normativa verso la sua diffusione: l’aver promosso un cambiamento culturale verso uno strumento che finora ha avuto una diffusione limitata nonostante le sue potenzialità. 

Per chi è convinto – come noi – che il lavoro agile è una modalità di lavoro intelligente, basata su obiettivi lavorativi (individuali e di team), sulla customer (o citizen, per quanto riguarda le PA) satisfaction, consono all’epoca di capillare diffusione di tecnologie abilitanti in cui viviamo (oltre che sostenibile in termini di mobilità urbana e interurbana e gestione dei tempi di vita e di lavoro), le misure che ci costringono a lavorare da casa sono un’opportunità per avviare un’organizzazione del lavoro davvero agile non appena si allenterà il lockdown di contenimento pandemia in corso. 

Il lavoro agile, infatti, non può essere improvvisato e lo sanno bene le “nostre” PA destinatarie del progetto che hanno beneficiato (e continuano a beneficiare) di momenti di formazione, confronto, consulenza organizzativa e normativa. Il lavoro agile si può organizzare con successo in una realtà (pubblica o privata) con determinati requisiti digitali, ma soprattutto organizzativi e culturali. Si tratta di requisiti, peraltro, non semplicemente necessari a diffondere il lavoro agile, perché se fosse solo questa la finalità, potremmo risparmiarci la fatica del cambiamento, ma indispensabili perché il Paese tutto recuperi quello slancio di crescita che fatichiamo ad avere. Dalla nostra esperienza di assistenza tecnica, possiamo concludere che un’organizzazione al passo coi tempi deve puntare a tre elementi: 

  1. i processi: l’obiettivo è una PA con procedure digitali e semplificate, attenta alle esigenze dei cittadini, anche attraverso piattaforme di interoperabilità (si pensi a SPID); 
  2. la capacità di proattività, ovvero il confronto con realtà pubbliche e private, sia nazionali che estere, e la voglia di innovarsi;
  3. le persone. Le persone, indubbiamente, sono l’elemento indispensabile anche per cambiare i processi e aumentare la proattività della PA, per cui deve essere considerato prioritario investire nelle persone per ogni cambiamento organizzativo. 

Ripartire dalla formazione

In molti lamentano che l’età media dei dipendenti pubblici italiani (55 anni secondo il Rapporto ARAN 2017) determina una scarsa propensione verso la diffusione di procedure digitali e di dematerializzazione, ma anche verso la flessibilità organizzativa, l’agilità mentale, la capacità di collaborare e lavorare in squadra, tutte precondizioni perché il lavoro agile si realizzi.

Anche una “selezione avversa” delle giovani reclute è spesso considerata la causa della staticità organizzativa della PA italiana: sembra che la Pubblica Amministrazione sia poco attraente per i giovani talenti, tendenzialmente più interessati a far carriera nel settore privato che a ottenere un posto pubblico. 

Al di là di queste considerazioni tanto diffuse (forse corrette?), la nostra esperienza di progetto dimostra che ciò che è davvero importante è avere una dirigenza sensibile al tema e pronta a investire tempo e fatiche nella formazione e nell’organizzazione dell’Amministrazione. Nella PA (forse più che in altri ambiti lavorativi), il capitale umano è il più importante asset e cruciale è la gestione del personale. 

Il benessere organizzativo deriva proprio dalla capacità di un’organizzazione di saper crescere, di svilupparsi, di cambiare, promuovendo adeguati livelli di benessere psicofisico delle persone e incrementando l’appartenenza al contesto e la convivenza sociale. Le lavoratrici e i lavoratori della PA devono sentirsi quanto più possibile in un ambiente meritocratico, devono poter beneficiare di azioni di tutoraggio e mentoring, devono fruire di formazione continua. 

Proprio in un settore in cui il turnover è generalmente basso, infatti, il cosiddetto life long learning è la soluzione per adeguare le professionalità nel corso degli anni alle inevitabili e necessarie evoluzioni del mondo del lavoro a livello globale. La formazione, infatti, va intesa sia come trasferimento di saperi (aggiornamento, acquisizione di conoscenze e modalità di utilizzo di nuovi programmi e strumenti) ma anche come sostegno allo sviluppo di apprendimenti e metodologie di lavoro. Nel toolkit del progetto, abbiamo sviluppato delle linee guida per favorire il cambiamento organizzativo, ovvero il cambiamento della struttura e delle strategie organizzative, dei processi e dell’ambiente di lavoro e, infine, il cambiamento culturale. Di fatto, è l’insieme delle attività necessarie per rendere un’organizzazione – privata o pubblica che sia – flessibile, aperta all’esterno e smart. 

Gli enti pubblici hanno diverse strade complementari per portare avanti un processo di adeguamento delle competenze: centri di formazione interni o acquisizione di corsi organizzati da terzi, comunità di apprendimento tra colleghi o scambi peer to peer tra Amministrazioni omologhe, collaborazioni col settore privato, incarichi a tempo determinato per progetti specifici con esperti esterni che possano portare soluzioni valide all’interno dell’organizzazione, ecc. Si tratta di soluzioni diverse e valide, che devono essere integrate a seconda del tipo di formazione che si intende erogare e della natura stessa della PA (centrale, regionale, locale, ecc.). Negli ultimi anni, è stato oggetto di studio il metodo formativo proposto da Kevin Cunnington* che, venendo dal settore privato, fu messo a capo della trasformazione digitale del Department for Work and Pensions (DWP, che in Gran Bretagna è la PA centrale che si occupa di pensioni e sussidi). Cunnington costruì una Digital Academy (come aveva già fatto in aziende private), ovvero uno spazio dove i dipendenti potessero fare una full immersion di sei settimane per imparare a lavorare in maniera intelligente, in particolare nei temi del digitale (progettazione basata sull’utente, sviluppo agile, servizi pubblici digitali e tool digitali). Indubbiamente, non in tutte le realtà un’assenza di sei settimane dall’operatività quotidiana è sostenibile, ma nel caso del DWP è stata una soluzione per formare rapidamente sul campo il personale per poi farlo lavorare su progetti reali. È una soluzione valida, ad esempio, nel caso di un cambiamento di mansioni necessario per adeguare la forza lavoro alle nuove sfide lavorative, perché non è pensabile che si realizzino sempre le stesse attività per un’intera carriera lavorativa.

Le attività che cambiano

A proposito di cambiamento di mansioni, l’emergenza COVID-19 ha indotto alcuni dirigenti a modificare le attività dei funzionari, per consentir loro di poter lavorare da remoto. In alcuni casi, come ad esempio per gli operatori dell’accredito e gli autisti, le mansioni principali saranno ripristinate non appena si rientrerà nella fase di normalità; in altri casi, però, è possibile che alcune attività siano progressivamente soppiantate da nuove funzioni, probabilmente caratterizzate da maggiore autonomia e creatività. Infatti, sebbene non sia il lavoro agile a rendere desuete alcune operazioni, queste col lavoro da remoto diventano impossibili. E la cosa più interessante è che ne viene svelata l’inutilità, perché non concorrono agli obiettivi d’ufficio. La persona potrà quindi concentrarsi su competenze intrinsecamente umane e fondamentali per il lavoro del futuro: competenze di gestione, pianificazione, programmazione, lavoro di squadra e interazione coi colleghi. 

L’evoluzione delle mansioni spesso viene affiancata al tema della macchina che sostituisce l’uomo nelle attività di routine. La paura che i robot subentrino alle persone nei lavori ripetitivi è un timore più del settore privato che del pubblico; certamente, però, la consapevolezza che alcune attività diventeranno obsolete è comune a tutti gli ambienti lavorativi. Nell’ultimo OECD Regional Outlook, si stima che circa il 14% della forza lavoro italiana rischia di essere sostituita dalle macchine nel breve periodo. Siamo nella media, coi Paesi dell’est Europa a maggior rischio di sostituzione e i Paesi scandinavi a minor rischio. 

Qual è allora il compito della PA (e di tutte le organizzazioni) perché nessuno sia lasciato indietro?

Oltre alla formazione accademica, bisogna puntare sulle competenze non cognitive, ovvero soft skills, tratti del carattere e della personalità, competenze di vita, competenze emozionali e sociali, competenze umane nel più nobile senso del termine (Fostering and Measuring Skills: Improving Cognitive and Non-cognitive Skills to Promote Lifetime Success, OECD Education Working Papers, No. 110, OECD Publishing, Paris, 2014).

pastedGraphic.png

 L’Unione europea collabora gli Stati Membri per promuovere la diffusione delle competenze chiave, invitando i formatori ad andare al di là dei confini tematici, favorendo l’apprendimento multidisciplinare, la cooperazione con stakeholders diversi. 

Sono competenze non cognitive, ad esempio: apertura mentale, curiosità e attitudine ad apprendere e cambiare, flessibilità, innovazione, creatività, spirito imprenditoriale, resilienza, pianificazione e organizzazione, responsabilità, perseveranza, lavoro di squadra, comunicazione, spirito di iniziativa, empatia, capacità di collaborare, controllo delle emozioni e positività. 

Insomma, tutte competenze che abbiamo necessariamente testato in questo momento di lavoro da casa, quando abbiamo dovuto da un giorno all’altro cambiare, essere flessibili, inventarci nuove modalità di collaborazione a distanza, mantenerci positivi. 

Basteranno soft skills e specializzazione accademica?

Con le competenze non cognitive possiamo superare l’emergenza COVID-19 e iniziare un “ordinario” lavoro agile, ma non basta. Il mondo del lavoro è un mondo sempre più sensibile alle esigenze del cliente (del cittadino, per la PA), più reattivo agli stimoli esterni, più interconnesso. Anche la dirigenza deve allora saper ascoltare il mondo che cambia e anticiparne le tendenze. 

Come disse Einstein, l’immaginazione è più importante della conoscenza. La dirigenza dovrà allora immaginare, essere “visionaria”, per stimolare il meccanismo evolutivo dell’organizzazione. Saranno competenze trasversali, che consentiranno alla dirigenza di avere uno sguardo d’insieme, capace di decodificare il sistema di relazioni in cui viviamo e sempre più vivremo. L’organizzazione che avrà successo sarà quella più duttile rispetto alle esigenze in continua evoluzione della società e dell’ambiente in cui viviamo, anzi, sarà quella che anticiperà le prossime esigenze, come osserva L. Battistoni. Con queste competenze, le dirigenti e i dirigenti potranno guidare la Pubblica Amministrazione verso servizi più utili ai cittadini, attraverso processi più efficienti e grazie a colleghi davvero coinvolti nella programmazione e nel raggiungimento degli obiettivi dell’ufficio. 

*  William Eggers, Delivering on Digital: The Innovators and Technologies That Are Transforming Government, 2016.