
La diffusione del lavoro agile, nella pubblica amministrazione e anche nelle imprese private, può contribuire fattivamente alla gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Lo smart working consente infatti di ridurre l’esposizione dei lavoratori ai rischi di contagio nelle aree colpite dall’epidemia del Coronavirus e di evitare il blocco totale dell’erogazione dei servizi pubblici e delle attività produttive.
Proprio per questa ragione il DECRETO-LEGGE del 23 febbraio 2020 n. 6 - Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 - approvato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, stabilisce (art.1 comma O) che la modalità di lavoro agile è applicabile a tutti i lavoratori delle zone in cui è prevista la sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative, anche in deroga ad alcuni degli adempimenti previsti dalla legge 81 del 2017 che lo disciplina.
Nello specifico, nelle "Disposizioni attuative del decreto-legge", all’Art. 3 Comma 1 si stabilisce che “la modalita' di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e' applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell'ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti.” E al Comma 2 che “gli obblighi di informativa di cui all'art. 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono resi in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.”
Il lavoro agile, è stato oggetto anche delle nuove disposizioni contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) adottato il 1 Marzo 2020, in attuazione del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6. Nel Dpcm, tra le misure che riguardano l'intero territorio nazionale, si stabilisce la possibilità che la modalità di “lavoro agile” sia applicata, per la durata dello stato di emergenza, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali previsti. Si tratta, in sostanza, di una procedura semplificata, che non prevede la sottoscrizione dell'accordo ex art. 18 l.n. 81/2017, ma il semplice invio dell'informativa sulla sicurezza.
Si tratta quindi di norme che permettono di applicare in maniera automatica il lavoro agile, anche a prescindere dalla sottoscrizione di un accordo individuale lavoratore-azienda, che specifichi nel dettaglio tempi e modi di utilizzo degli strumenti tecnologici che permettono di lavorare da remoto. Permane invece la necessità di provvedere alla comunicazione obbligatoria per via telematica al portale del Ministero del Lavoro. Restano inoltre valide, come stabilito dalla legge 81, le norme che prevedono parità di trattamento economico e normativo tra i lavoratori agili e i loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie, e la tutela della sicurezza in caso di infortuni e malattie professionali.
Le imprese e le PA che stanno già sperimentando questa modalità di lavoro sono sicuramente più preparate, e partono da una condizione di vantaggio dovuta alla possibilità di attuare questa modalità di lavoro con tempi immediati. Alcune singole imprese, come Eni, Enel, Snam e Saipem, stanno lavorando a formule di congedo per i lavoratori che prevedano l’utilizzo del lavoro agile (smart working).
Sul fronte delle PA, ricordiamo Torino e Genova - che hanno già utilizzato il lavoro agile per far fronte ad alcune emergenze legate ad eventi calamitosi come le alluvioni o al crollo del ponte Morandi, e anche le tante altre - da Brescia a Bologna - che nel nord Italia stanno già sperimentando questa nuova forma di lavoro nel contesto del progetto ‘Lavoro Agile per il futuro della PA’, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri proprio con l’obiettivo di diffondere una nuova cultura organizzativa del lavoro.
In Italia ci si appresta dunque a dare nuovo impulso e nuovo slancio alla sperimentazione dello smartworking, come sta già accadendo in Cina, con la speranza che possa rivelarsi utile non solo in questa delicata fase della vita del Paese ma anche in futuro, per il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici e per ottenere una maggiore efficienza e resilienza dei servizi pubblici.